L’attacco di panico è il disturbo d’ansia più temibile e meglio conosciuto a livello di opinione pubblica per la sua relativamente elevata frequenza, soprattutto nell’arco degli ultimi anni. Ne soffre infatti, secondo le casistiche più recenti, circa il 35% della popolazione in età compresa tra i 25 e i 35 anni, in particolar modo le donne (rapporto maschi/femmine: 1/2) e coloro che abitano in ambiente urbano, soprattutto ad alta densità di popolazione (grandi città come Roma o Milano).

Caratterizzato da un insieme imponente di sintomi sia fisici che psichici, l’attacco di panico viene di solito riferito come un’esperienza terribile dai pazienti e pone spesso ai medici numerosi problemi di diagnosi differenziale rispetto a malattie organiche temibili come l’infarto, l’ictus e l’attacco epilettico.

Nello specifico, si tratta di un episodio di relativa breve durata (almeno un quarto d’ora) caratterizzato dall’improvvisa comparsa di una paura senza causa apparente, travolgente e mai sperimentata prima. A questo sentimento si associano altri sintomi psichici, quali la paura di impazzire o di stare per morire, la paura di perdere il controllo, la derealizzazione ovvero la sensazione di irrealtà e la depersonalizzazione che è la sensazione di essere staccati da se stessi, e sintomi somatici che ricordano l’infarto o l’attacco d’asma, come il dolore o il peso al petto, il respiro corto, il senso di soffocamento, i formicolii alle mani, ai piedi ed al volto, la tachicardia, le vertigini, la nausea. Per il suo carattere improvviso e per il tipo di sensazioni corporee che si sperimentano, il primo attacco di panico spinge chi lo sperimenta ad andare in pronto soccorso, dove i medici devono comunque escludere la possibilità di una patologia organica. Sta poi al neurologo ed allo psichiatra stabilire in ambulatorio se si tratta di un episodio isolato o di un vero disturbo di panico. Infatti, l’attacco di panico in se è una cosa, il disturbo di panico un’altra.

L’evento occasionale è spesso un fenomeno sentinella di qualcos’altro: elevato livello di stress psico-fisico, recenti eventi ad elevato contenuto emotivo in persone con livello d’ansia di base più alto, abuso di caffeina, abuso di sostanze stupefacenti (cocaina, anfetamine e marijuana in quantità significative), patologie endocrinologiche a carico della tiroide e dei surreni (tutte le cause di iperfunzione di entrambe le ghiandole). A volte, inoltre, vengono scambiati per attacchi di panico crisi di tachicardia parossistica primitiva o secondaria alla presenza di un ernia jatale o di altre patologie gastriche e le crisi di asma. Dal punto di vista psichiatrico, episodi con caratteristiche sovrapponibili al panico, invece, sono tipici dei pazienti affetti da fobie specifiche (paura dell’altezza, dei serpenti, dei ragni, ecc) in presenza dello stimolo o dei pazienti con fobia sociale quando si sentono esaminati o giudicati e in quelli affetti da sindrome da distress postraumatico in presenza di eventi che ricordano il trauma. Il disturbo di panico, invece, è un’entità clinicamente distinta caratterizzata dalla ricomparsa frequente dei singoli episodi associata con la preoccupazione persistente di avere ulteriori attacchi e delle implicazioni/conseguenze della malattia (perdere il controllo, impazzire, avere un infarto), in presenza di un significativo cambiamento del comportamento relativo agli attacchi e generale (evitamento).

Nel corso del tempo, si possono aggiungere spunti depressivi ed una componente specifica, nota come agorafobia, di paura dei posti e delle situazioni da cui può essere difficile fuggire o nelle quali può non essere disponibile alcun aiuto in caso di attacco di panico. Ci sono varie teorie sulle cause dell’attacco di panico non indotto da sostanze e situazioni, dalla teoria del falso allarme di soffocamento a quella dell’alterata percezione psicologica delle sensazioni corporee all’ipotesi biochimica di una riduzione del livello di serotonina nel cervello, tutte relativamente supportate da evidenze scientifiche ed esposte a critiche, di conseguenza nessuna certa. Di conseguenza, la strada per arrivare ad un consenso sul trattamento sia degli episodi sporadici che del disturbo di panico è stata lunga e non è ancora finita. Attualmente, l’approccio eticamente più corretto secondo l’American Psychiatric Association (APA) è la terapia combinata con farmaci antidepressivi e ansiolitici di nuova generazione e la psicoterapia individuale e di gruppo. Sfatando il falso e spaventoso mito degli “psicofarmaci”, la terapia farmacologica degli attacchi di panico si avvale oggi di strumenti sicuramente efficaci e sempre più scevri da effetti collaterali (inibitori della ricaptazione della serotonina e benzodiazepine a emivita intermedia) che hanno una funzione puramente sintomatica, ovvero eliminano il sintomo ma non la complessa interazione fra aspetti psicologici e biochimici che probabilmente sta alla base del problema.

Per quanto riguarda la psicoterapia, quasi tutti gli indirizzi propongono una modalità di intervento o una soluzione la cui validità, però, è spesso ancora oggetto di discussione. Sebbene sia molto di moda attualmente l’approccio cognitivo-comportamentale che, come l’EMDR, è stato validato in studi clinici controllati, recentemente l’attenzione si è concentrata sulle tecniche corporee, le tecniche basate sull’educazione al respiro e la psicoterapia incentrata sull’esplorazione emotiva e sull’ascolto empatico, di stampo sostanzialmente umanistico.

È stato recentemente dimostrato come non esistano sostanziali differenze fra i vari tipi di psicoterapie in termini di efficacia e che il vero fattore determinante è la durata del trattamento ed un approccio orientato al problema. In questa direzione, è stato osservato come le metodologie basate su modelli olistici che tengano presente le singole problematiche esistenziali e le integrino in un processo di ricostituzione di una unità fra mente e corpo possa interrompere il circolo vizioso fra paura e sintomo somatico che sembra essere alla base degli attacchi di panico. Il passaggio fondamentale in questo ambito è la riappropriazione del proprio corpo come momento fondamentale del processo di conoscenza di se e come fonte di sostanziale rassicurazione.

La psicoterapia ad approccio umanistico, nell’ambito del trattamento sia degli attacchi di panico sporadici che del disturbo di panico, si adegua alla necessità sia di orientarsi al problema che di prendere in considerazione le peculiarità psicologiche ed ambientali di ogni singolo soggetto. Introducendo, inoltre, le tecniche corporee nel percorso terapeutico propone una strategia di trattamento “a doppio attacco”, verbale e non-verbale, che potrebbe incidere sia sui meccanismi coscienti e consapevoli che determinano la predisposizione alla crisi acuta d’ansia che sulle dinamiche inconsce che rinforzano profondamente la struttura di personalità che sta alla base del panico. In particolar modo, le metodiche di intervento basate sul respiro, largamente applicate nel contesto della psicologia umanistica, sembrano essere le più promettenti dal momento che le alterazioni del respiro sono un elemento fondamentale della fenomenologia dell’attacco di panico Sono in corso infatti numerosi studi sull’efficacia delle tecniche di iperventilazione e di respiro controllato (respiro e corpo, tecniche di rilassamento) i cui primi risultati sono molto promettenti. Inoltre, secondo l’APA, (American Psychiatric Association) sono “necessari studi clinici controllati di valutazione dell’effetto a lungo termine di altre tecniche psicoterapiche, come soprattutto quelle di ambito umanistico, che hanno dimostrato empiricamente una significativa efficacia” (Linee Guida pratiche alla diagnosi ed al trattamento del Disturbo di Panico, Aprile 2006).